Come è noto il Ministero dell’Università e della Ricerca ha lanciato una propria iniziativa volta ad attrarre in Italia ricercatori di ricercatori di eccellenza, titolari di Starting o Consolidator Grant dell’European Research Council (ERC). Si tratta di un intervento strategico, nell’ambito del Piano per la valorizzazione del sistema accademico italiano, che, attraverso apposito bando con scadenza il prossimo 4 giugno alle ore 12:00, mette a disposizione la somma di 50 milioni di euro. Ogni progetto potrà ricevere fino a un milione di euro. L’intervento è rivolto in particolare a studiosi attualmente impegnati all’estero, interessati a trasferirsi – o a fare ritorno – nel nostro Paese.
Un segnale forte, senza dubbio. C’è da chiedersi però quale potrà essere l’efficacia effettiva di questa misura. E, soprattutto, servirà davvero a contrastare l’emorragia di talenti che affligge la ricerca italiana da decenni e a superare la difficoltà strutturale del nostro sistema ad attrarre le più qualificate competenze?
Va evidenziato, in particolare, come in realtà il provvedimento potrà offrire un’opportunità solo ad un bacino molto ristretto di destinatari.
Ricordiamo, infatti, che nel 2025, l’ERC ha stanziato 751 milioni di euro per circa 483 Starting Grants ricevendo 3.121 domande per i Consolidator Grants, con un aumento del 35% rispetto all’anno precedente. Numeri questi che evidenziano l’elevata competitività e la selettività di tali finanziamenti. Di conseguenza, il bando Mur si rivolge a una platea estremamente ristretta di ricercatori, escludendo la maggior parte dei giovani talenti italiani che operano all’estero senza aver ottenuto questi specifici Grants.
Secondo dati recenti, oltre 14.000 ricercatori italiani lavorano in università e centri di ricerca stranieri, molti dei quali in paesi extraeuropei. In particolare, negli Stati Uniti si contano più di 15.000 ricercatori italiani. Nel 2024, l’Italia ha registrato un aumento del 20,5% negli espatri, con circa 156.000 cittadini italiani trasferitisi all’estero, principalmente in Germania, Spagna e Regno Unito. Questi dati indicano una tendenza strutturale alla migrazione di professionisti qualificati, attratti da migliori opportunità di carriera e condizioni lavorative più favorevoli.
Un primo passo, ma non sufficiente
Senza entrare, in questa sede, nelle polemiche, a sfondo politico, sviluppatesi nei giorni scorsi attorno alle iniziative europee conseguenti alle misure restrittive del governo USA sulle istituzioni scientifiche va detto con chiarezza che l’iniziativa del Mur, seppur importante per attrarre ricercatori di alto profilo, da sola si rivela insufficiente ad invertire e frenare l’emorragia di cervelli che caratterizza purtroppo il nostro Paese.
Per rendere l’Italia un paese realmente attrattivo per i ricercatori, è necessario affrontare le cause strutturali che spingono i talenti a cercare opportunità all’estero, come la precarietà lavorativa, gli eccessi burocratici, la scarsa competitività delle retribuzioni, la mancanza di investimenti stabili nella ricerca.
Un sistema ancora poco attrattivo
In questo senso le dichiarazioni del Ministro Anna Maria Bernini, pur condivisibili negli intenti, sembrano scontrarsi con la realtà quotidiana di molti Istituzioni di Ricerca Italiane: carriere bloccate, infrastrutture spesso obsolete, scarsità di bandi competitivi, poca autonomia gestionale e una stratificazione normativa che frena ogni slancio.
Anche ammesso che i fondi arrivino in tempi certi e vengano gestiti con efficienza – un’ipotesi tutt’altro che scontata, se si guarda al passato – restano da sciogliere nodi strutturali che nessuna disponibilità finanziaria potrà da sola sciogliere: la trasparenza nei concorsi, il riconoscimento del merito, l’apertura internazionale degli Enti di Ricerca e degli Atenei.
Il 40% delle risorse sarà destinato alle regioni del Mezzogiorno. Una scelta condivisibile sul piano politico, ma che rischia di diventare un vincolo più che un’opportunità se non accompagnata da un serio piano di potenziamento degli Enti Pubblici di Ricerca nel Sud Italia. Senza un contesto in grado di valorizzare questi progetti, il rischio è che si creino cattedrali nel deserto: progetti d’eccellenza isolati in un tessuto spesso carente di supporti adeguati, dal personale tecnico alle reti di collaborazione internazionale.
Conclusione: un primo passo, ma non basta
Il bando è un segnale positivo. Ma è anche una misura “spot”, che rischia di essere letta più come un’operazione d’immagine che come un reale cambio di paradigma. Attirare cervelli, infatti, non significa solo finanziare progetti: significa costruire un sistema accogliente, dinamico, trasparente funzionante e stabile. E su questo terreno l’Italia ha ancora molta strada da fare.
Nel frattempo, molti dei nostri ricercatori continueranno a cercare altrove le condizioni che qui essi ancora non trovano. Con o senza Grant da un milione di euro!
Il Commissario Straordinario UILRUA
Emanuele Ronzoni |