Negli Enti pubblici di Ricerca italiani si consuma da anni una contraddizione ormai insostenibile: mentre si moltiplicano i proclami sull’importanza della scienza, dell’innovazione e della competitività del Paese, nei luoghi dove queste promesse dovrebbero concretizzarsi regna la frustrazione di lavoratrici e lavoratori che si sentono invisibili, sottovalutati e spesso costretti a scegliere tra la propria vocazione e la dignità professionale.
Il problema non è, come spesso si vuol far credere, che manchino i talenti o che non ci sia abbastanza domanda di lavoro nella ricerca pubblica. Al contrario, c’è una generazione di ricercatori, tecnologi, tecnici e amministrativi altamente qualificata, pronta a impegnarsi, a innovare, a formare e a produrre conoscenza al servizio del Paese. Il problema è che il sistema non sa riesce ad attrarre e trattenere queste competenze. E la causa principale è nota e ripetuta da anni: la scarsa valorizzazione professionale unita a stipendi fermi, bassi e non competitivi a livello europeo.
In questo scenario, la mancanza di percorsi chiari di carriera, la precarietà ancora troppo diffusa, la carenza cronica di risorse dedicate alla progressione economica e la scarsa autonomia gestionale degli enti rappresentano un mix tossico che alimenta la disillusione. I salari d’ingresso, specie per i giovani ricercatori, sono nettamente inferiori a quelli medi europei, e non vengono compensati da reali prospettive di crescita. Chi entra oggi in un ente di ricerca rischia di impiegare decenni per ottenere un avanzamento o una retribuzione adeguata, mentre intorno a lui il mondo corre veloce, investe in innovazione e premia il merito.
Non si può continuare a chiedere eccellenza in cambio di sopravvivenza. Non si può pretendere che la ricerca pubblica attragga i migliori, italiani e stranieri, se poi non si è disposti a riconoscerne concretamente il valore. Ed è per questo che oggi diventa urgente e non più rinviabile una riforma strutturale dei meccanismi di valutazione e valorizzazione professionale nei nostri enti pubblici di ricerca.
La soluzione passa da un piano pluriennale di investimenti, che preveda un adeguamento salariale legato al merito e al ruolo svolto, percorsi di carriera trasparenti e dinamici, una maggiore autonomia degli enti nella gestione delle risorse umane e una revisione dei meccanismi di finanziamento, in grado di premiare il lavoro di squadra e l’impatto sociale della ricerca, non solo gli indicatori bibliometrici. Serve un nuovo patto per la ricerca pubblica che metta al centro chi ogni giorno la rende possibile.
Come Federazione UIL Scuola RUA, ribadiamo con forza che siamo pronti a fare la nostra parte, dentro e fuori i tavoli istituzionali, per affermare il diritto a una piena dignità professionale per chi lavora nella conoscenza. La politica deve scegliere se continuare a perdere competenze, credibilità e futuro, oppure invertire la rotta e riconoscere che dietro ogni scoperta c’è un lavoro silenzioso che merita rispetto, certezze e prospettive.