Abbiamo più volte denunciato il ritardo e la trascuratezza con i quali i Governi considerano la programmazione del sostegno pubblico alla Ricerca e lo strumento di sua massima espressione, ovvero quel Programma Nazionale della Ricerca, inizialmente previsto con la costituzione del MURST e poi disciplinato dall’ art.2 del D.Lgs n. 204/98.
Nonostante annosi “sbandieramenti” fino a pochi giorni fa il PNR era solo una “bozza”, con valenza 2010-2012, e senza una tabella delle disponibilità economiche. Dal 2004, cioè, il Paese mancava di un documento che definisse gli indirizzi della spesa pubblica per lo sviluppo scientifico e tecnologico!
Nei giorni scorsi – anche dopo ripetuti appelli delle parti sociali e della comunità scientifica – il CIPE ha, finalmente, approvato una “nuova” stesura del PNR, che per diventare definitiva, tuttavia, avrà bisogno di un ulteriore “passaggio” nel Consiglio dei Ministri.
La lettura attenta delle circa 80 pagine del testo ha fatto sorgere un dubbio di fondo:
siamo di fronte ad un vero programma o, piuttosto, all’ennesimo documento sui ritardi accumulati in questi anni dal nostro sistema di R&S e sulle nostre prospettive future?
Il contenuto essenzialmente “narrativo” e “descrittivo” del PNR con il quale il Ministro Gelmini ed i suoi collaboratori si propongono alla comunità scientifica, alle forze produttive e sociali, alle Regioni, all’ Europa, in una fase decisiva della competizione mondiale, legittimano questo interrogativo.
Possiamo dire, in sostanza, che siamo difronte ad una “sterile rielaborazione” della originaria versione del programma.
Viene, innanzitutto modificata la vigenza triennale, dal 2010- 2012 al 2011-2013.
Ciò, in verità era stato chiesto da molti (per raccordare il PNR alle cadenze dei programmi europei) ma certo la modifica conferma la disinvoltura con la quale il nostro Paese fa “sciftare” i propri programmi scientifici e di spesa.
Viene operato poi una sorta di “maquillage” per fare spazio ai nuovi scenari di “Europa 2020”.
Ed anche qui si tratta di un “abbellimento” forzato che si è tradotto solo in raccomandazioni ed impegni poco più che generici; in realtà il PNR non riesce a precisare, con credibilità, quella visione integrata di tutti gli strumenti di politica scientifica e di connessione tra questa e la politica economica ed industriale, così come chiede oggi l’ Europa.
Non desti meraviglia la terza “opzione” di fondo ovvero il fatto che il PNR dichiara, fin da ora, la impossibilità del nostro Paese di arrivare ad un allineamento con il livello medio di spesa complessiva UE (pubblica e privata) del 3% previsto dall’ Europa al 2020.
Il traguardo viene fissato all’ 1,5% del PIL ( il che sarebbe già un notevole risultato considerato l’attuale 1% di partenza ed il fatto che ciò significherebbe quasi raddoppiare l’apporto pubblico, mentre quello privato continuerà a non essere effettivamente misurato dagli indicatori nazionali)!
L ‘ Italia resterà, comunque, il fanalino di coda nella spesa complessiva per R&S, come lo è oggi, dopo Spagna, poco prima di Turchia e Romania!
La quarta operazione – quella in verità più attesa – è la predisposizione di una “tabella finanziaria” che, come ricordavamo, era assente nella originaria versione.
Ma qui la sorpresa è ancora più grande.
La tabella non delinea vero e proprio piano pluriennale di spesa, ci si limita ad indicare “le risorse attualmente disponibili nel bilancio del MIUR, per il finanziamento degli interventi e delle azioni previste nel PNR”
Ma vediamo bene in che cosa consistono realmente le disponibilità indicate nel piano per complessivi 6. 257 milioni di euro.
La metà di esse (ben 3.060 milioni di euro) non sono altro che le risorse del PON Ricerca e Competitività, già destinate dalla Programmazione Europea agli interventi nelle Regioni della Convergenza (Campania, Sicilia, Puglie e Calabria) per la triennalità 2011-2013. Dunque nessuna novità.
Nella “strategia di coesione” UE queste risorse sono, peraltro, considerate aggiuntive. Con esse, invece, il MIUR finanzia i programmi nazionali più importanti come già nei fatti sta avvenendo (basti pensare al bando 2010 per la ricerca industriale ed al bando in questi giorni in chiusura riguardante i distretti tecnologici ed i laboratori pubblico-privati).
La restante parte delle ipotetiche disponibilità appare così distribuita:
* 1.962 milioni di euro sul FAR (Fondo per le Agevolazioni alla Ricerca) ma qui la effettiva spesa è tutta da verificare su base annuale ; * 91 milioni di euro per il FIRB (Fondo per gli Investimenti della Ricerca di Base); * 77 milioni di euro per il FISR (Fondo Integrativo Speciale per la Ricerca); * 269 milioni di euro per il PRIN (Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale); * 798 milioni di euro imputabili, infine, al Fondo Ordinario di finanziamento degli Enti e delle Istituzioni di ricerca-e che il PNR destinerebbe alla realizzazione di particolari progetti nazionali.
E sta proprio in quest’ultima “posta” la vera “sorpresa pasquale” del PNR.
Parliamo, infatti, di risorse che già sarebbero nel FOE (Fondo Ordinario di finanziamento degli Enti di Ricerca) e dunque nella dotazioni attuali degli EPR e che grazie al forzato accantonamento dell’ 8% (con promessa di futuro reintegro) e di un’ ulteriore quota del 7% da destinare a “progetti strategici” (secondo il disposto dell’ art.4, comma 2, del DLgs n. 213/2009) consentiranno al MIUR di esercitare il proprio “protagonismo programmatico” attraverso quelli che vengono denominati i “Progetti Bandiera”.
La spesa preventivata per tali progetti, e che travalica la stessa triennalità 2013, è ben superiore al 15% “sacrificale” degli EPR. Si parla, infatti, di 1.772 milioni di euro nei quali forse andranno contabilizzati anche i 269 milioni del PRIN ed altri apporti di non ben precisata provenienza pubblica ma anche privata.
In sostanza, anziché mettere a disposizione risorse aggiuntive, il Governo dice agli Enti: vi lascio la attuale dotazione di bilancio a patto che il 15% della stessa sia destinata ai progetti del mio PNR!
E questa è in effetti la vera “bandiera” (il vero “core business”) del PNR del Ministro Gelmini!
Ma la sostanziale mancanza di reali risorse aggiuntive non è l’unico “inganno” contenuto nel Piano, perché aspetti ancora più inquietanti riguardano il “quadro di comando” del sistema di R&S.
Su questo versante, si “aggirano”, infatti, gli impegni pressanti con la comunità scientifica e con l’ Europa nel momento in cui si “predicano” fino alla noia l’ accettazione delle grandi sfide tecnologiche e la gestione sistemica ed integrata dei programmi e si fa poi in concreto riferimento ad una “governance” affidata tutta a “gruppi tecnici”.
Entità la cui caratteristica è l’ autoreferenzialità ed il cui raggio d’azione non può certo estendersi agli investimenti di altri attori pubblici e privati.
E’ vero che il Ministro annuncia un prossimo e profondo riassetto del “quadro di comando” a suo tempo concepito e varato dal Ministro Berlinguer (D-Lgs n. 204/1998).
Intanto, però, appare molto più “comodo” e “praticabile” affidare il tutto a “comitati tecnici” di non ben precisata composizione ed istituzionalizzare, sempre presso il MIUR, i “comitati di esperti” che hanno prodotto le analisi della tematiche relative alle quasi 20 azioni di cui si compone il PNR, sotto forma di “Comitati di Indirizzo Strategico” (CIS).
Gli obiettivi “strategici” sono, in verità, sminuzzati in una miriade di “azioni” che determineranno la tradizionale polverizzazione incontrollata delle poche risorse disponibili, senza realizzare le necessarie “masse critiche”.
Sempre una struttura tecnica di nomina ministeriale sovrintenderà alla gestione del FIRST (ma con quali risorse?) e, dulcis in fundo, il coordinamento generale degli interventi di ricerca sarà demandato ad una “segreteria tecnica” di supporto delle scelte del Ministro !
Ci domandiamo:
questi sono gli strumenti per garantire il raccordo effettivo con i programmi e le risorse per ricerca ed innovazione mosse dagli altri ministeri ed organismi pubblici? a quali linee di politica industriale, infrastrutturale e dei servizi fa riferimento il “nuovo” PNR? come si misura l’ apporto di reale autofinanziamento di quelle imprese private che saranno le maggiori beneficiarie dei pochi interventi e di cui si conta di incentivare l’ impegno anche con il rilancio del credito di imposta? quali provvedimenti si intendono assumere per fronteggiare le carenze strutturali della mobilità e di nuova occupazione del personale di ricerca e per risolvere l’insostenibile condizione della precarietà? quali spazi di interlocuzione saranno riservati alla comunità scientifica ed alle forze sociali?
A questi interrogativi nel PNR non c’è risposta. Solo generici richiami e fumosi impegni. ( e forse non potrebbe essere diversamente vista la condizione politica, istituzionale e morale in cui versa il Paese).
La verità è che la scelta di fondo del Ministro Gelmini si conferma essere quella delle “riforme a costo zero”, fatte sulla pelle del nostro sistema pubblico di ricerca e di alta qualificazione universitaria, sbandierate demagogicamente, anche all’interno del PNR, come “riforme strutturali” e come pre-condizione essenziale per un futuro di gestione virtuosa e di sviluppo degli investimenti (che invece non ci saranno).
Riforme sin qui utili solo ad incidere sugli assetti (politici) di vertice e che, in realtà, continuano a depauperare il sistema pubblico di R&S, ostacolando, se non paralizzando, l’attività dei nostri Enti e dei nostri Atenei.
Una scelta che, a nostro avviso, rischia, a questo punto, di mettere in discussione lo stesso ruolo istituzionale del MIUR, incapace di esercitare sia un vero coordinamento, sia un incisiva azione di propulsione e di indirizzo.