Si è svolto oggi, 8 maggio, in Senato il Question Time con la Ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, per riferire sull’attuazione delle nuove modalità di accesso al corso di laurea in Medicina. Tema centrale dell’intervento: la presunta abolizione del test d’ingresso, presentata dal Governo come una svolta epocale. Ma, ancora una volta, alla retorica non seguono i fatti.
“Niente più test a numero chiuso per Medicina”: questo il messaggio trionfale diffuso dal Ministero. Ma dietro gli annunci rassicuranti e le parole d’ordine sull’inclusività, si cela una realtà ben diversa. Il numero chiuso non è superato: è solo rimandato. Cambia il momento della selezione, non la sua logica né i suoi effetti.
Il nuovo impianto prevede infatti un “semestre caratterizzante” iniziale, durante il quale gli studenti seguiranno corsi di chimica, fisica e biologia. Al termine, una serie di esami costituirà la base per una graduatoria nazionale. Chi non supererà la soglia verrà escluso dal percorso. Una selezione, dunque, che non scompare ma si sposta più avanti, lasciando intatte le logiche di esclusione.
Una “riforma” che crea solo nuove illusioni. Il rischio è quello di generare false speranze tra migliaia di giovani che, motivati dal cambiamento annunciato, inizieranno il percorso accademico solo per essere esclusi sei mesi dopo. Un meccanismo che rischia di aumentare le frustrazioni e il senso di ingiustizia, anziché ridurli.
Il mercato dei corsi privati? Rinascerà sotto altra forma. La ministra afferma che i corsi a pagamento non serviranno più, poiché le università garantiranno la preparazione necessaria. Ma nulla vieta agli enti privati di riconvertirsi, offrendo supporto per superare gli esami del primo semestre. Cambia il contesto, ma non il meccanismo che alimenta le disuguaglianze.
Le università hanno gli strumenti? I fondi? Le strutture? I 23 milioni di euro annunciati dal 2024 appaiono del tutto insufficienti rispetto al carico che gli atenei saranno chiamati a gestire. Più studenti, più docenti, più spazi: tutto in un sistema già sotto pressione. Il rischio concreto è che la qualità della formazione venga sacrificata sull’altare dell’improvvisazione.
Un sistema che ignora i bisogni reali della sanità. Il mondo sanitario chiede da anni un aumento programmato dei medici, soprattutto nelle aree periferiche e nei reparti più critici. Ma invece di rivedere strutturalmente il fabbisogno, si continua a mantenere logiche selettive basate su parametri accademici e limiti di bilancio.
La verità è semplice: questa non è una riforma, è una narrazione. La cosiddetta “abolizione del numero chiuso” non rappresenta una rivoluzione culturale, ma una strategia comunicativa. Serve ad alleggerire la pressione dell’opinione pubblica, senza modificare in profondità il modello. L’accesso a Medicina resta elitario, competitivo, e lontano dai bisogni reali del Paese.
Come Federazione UIL Scuola RUA, denunciamo con fermezza l’assenza di una visione strutturale e di lungo termine. La riforma Bernini, così come oggi si presenta, non garantisce né inclusione reale né valorizzazione del merito. L’università pubblica ha bisogno di investimenti concreti, programmazione seria e coinvolgimento attivo del mondo accademico e sanitario.
Il test cambia forma, ma la selezione resta. Solo il tempo – e soprattutto le aule – ci diranno se questa “riforma” saprà davvero rispondere alle esigenze del Paese. Ma per ora, l’unica certezza è che la vera prova deve ancora cominciare.
Il Commissario Straordinario UILRUA
Emanuele Ronzoni |