venerdì 19 Aprile 2024

CGIL-CISL-UIL: lettera ai Rettori su situazione Università

simboli-comparti universitaEgregi Rettori,
da alcuni anni ormai assistiamo ad una strisciante e silenziosa quanto radicale destrutturazione dell’Università italiana, in particolare quella pubblica. Dopo l’approvazione della legge 240/2010 i nostri atenei hanno iniziato a ridimensionare l’offerta formativa, ridurre i servizi agli studenti, aumentare le tasse di iscrizione, immaginare soluzioni incerte a carattere locale per quella che, guardando i numeri, appare come la più grande azione di diminuzione della spesa pubblica tra i diversi settori dello stato. In proporzione l’Università ha pagato più di tutti. Di chi è la responsabilità?

Di un sistema compromesso nelle sue funzioni da logiche privatistiche di gestione come alcuni commentatori sostengono da anni? Della stoltezza di una classe politica senza alcuna idea strategica per questo fondamentale settore al servizio del sistema-paese? O, più probabilmente, da una combinazione di entrambe le cose condita da una campagna denigratoria e strumentale che prosegue da anni il cui obiettivo, alla fine, si sta dimostrando essere la distruzione dell’Università pubblica.  

   A prescindere dalle motivazioni ormai dobbiamo guardare ai fatti. I numeri sono chiari, voi spesso li ricordate in dibattiti pubblici e interviste.

   Il sistema universitario italiano risulta essere “fanalino di coda” per quanto riguarda le spese per studente e la spesa media in formazione superiore è molto inferiore a quella media dei Paesi OCSE (- 30%). Il rapporto tra spesa in istruzione universitaria e PIL è – 37% rispetto alla media OCSE. Il nostro Paese investe appena l’1% del proprio PIL contro una media UE dell’1,5%. Dal 2009 gli investimenti nell’Università sono diminuiti di 1,1 MLD € con un calo complessivo di circa il 20% in 5 anni. Questa destrutturazione di un sistema universitario inesistente in quanto somma di autonomie ma sempre richiamato quando si tratta di tagliare, senza una regia, senza una idea di comune e organico sviluppo sembra ormai aver raggiunto il punto di non ritorno.

   Il numero dei docenti è precipitato a 53.000 unità e con i pensionamenti previsti e le limitazioni alle assunzioni continuerà a contrarsi inesorabilmente. L’offerta formativa crolla e i meccanismi di accreditamento sembrano pensati per giustificarne la riduzione. I corsi di dottorato sono ridotti del 40% mentre il successo accademico dei precari si attesta su percentuali irrisorie non per merito ma per mancanza di opportunità.

   I precari quindi diventano progressivamente disoccupati mentre si avvicina la tagliola del limite massimo di prorogabilità di assegni e contratti a termine frutto del delirio ideologico di chi ha ideato un meccanismo che senza reclutamento già si sapeva avrebbe solo prodotto l’espulsione di massa di una generazione. Ormai è ampiamente condivisa l’idea che senza un reclutamento straordinario che compensi almeno in parte le uscite già avvenute andremo incontro al collasso del sistema in pochissimo tempo.

   Il personale tecnico-amministrativo vive una situazione analoga, sottoposto ad una progressiva riduzione pur a fronte di un aumento esponenziale dei carichi di lavoro conseguenza dei diversi processi di riorganizzazione. Questo personale è da tempo bloccato nello sviluppo professionale, anche perché di fronte alla scelta stabilizzazione-carriere ha spesso e giustamente prevalso la prima, mortificando appunto le seconde e il riconoscimento delle professionalità acquisite.

   Oggi peraltro con l’espulsione dei precari e il blocco di fatto del turn over gli Atenei si impoveriscono di competenze e professionalità, piuttosto che incorporarne di nuove e rilanciare servizi di qualità. Così per far fronte alle inevitabili carenze nei dipartimenti si sfruttano impropriamente dottorandi, assegnisti, co.co.co. della ricerca.

   I servizi esternalizzati sono sempre di più anche in settori ad alto fattore di professionalità quali ad esempio le biblioteche o il settore informatico mentre i risparmi ipotizzati a parità di attività sono tutti da dimostrare.

   Al contrario occorrerebbe costruire un percorso per la stabilizzazione del personale precario attraverso programmazione pluriennale e ordinarietà dei processi di reclutamento con consistenze adeguate alle dotazioni organiche e alle necessità degli Atenei.

   La complessità del sistema universitario richiederebbe figure professionali sempre più qualificate, con capacità tecniche organizzative e gestionali in grado di supportare le complesse attività di formazione ricerca e trasferimento tecnologico, che costituiscono la missione istituzionale della rete degli atenei italiani.

   I Lettori e CEL sono semplicemente in via d’estinzione. Per gli organi di governo sono personale che costa troppo, pretende dei diritti, e che non serve (ci sono gli istituti privati di insegnamento lingue con i quali si stanno moltiplicando le convenzioni). In sintesi non c’è alcuna volontà di investire su questo personale, e tanto meno risolvere l’annosa questione di un dignitoso inquadramento giuridico legato all’attività di insegnamento.

   A nostro parere va riconosciuto a questo personale la funzione di insegnante, con ruoli precisi, attraverso la piena e soddisfacente contrattualizzazione del rapporto di lavoro. Vanno definiti dei livelli minimi di servizio linguistico (in presenza o in assenza di corsi di lingua specifici) con adeguamento delle risorse ad un organico minimo necessario a superare il gap linguistico del Paese con gli Stati europei più avanzati.

   Anche sul versante della dirigenza universitaria si deve prendere atto di come spesso manchino vere e proprie competenze che non siano di carattere manageriale, per loro natura non adatte, se non a volte controproducenti, al contesto universitario pubblico.

   Pensiamo che sia ormai a tutti evidente come il decreto legislativo 165/2001, più volte rimaneggiato e manomesso anche in tempi recenti, non abbia prodotto benefici al sistema universitario. Va interamente ripensato il sistema valutativo che non può essere visto come strumento punitivo, ma al contrario come leva per migliorare nel suo complesso, l’intera istituzione. In questo il fallimento e l’anacronistico approccio del D.Lgs. 150/2009 sono del tutto evidenti.

   E’ necessario riavviare la stagione contrattuale, bloccata ormai da ben cinque anni, affrontando sia la questione salariale sia quella normativa. In particolare va sottolineato che la contrattazione integrativa dovrà avere le certezze che sono venute meno negli ultimi anni, soprattutto a causa del ruolo preponderante del MEF e dei revisori dei conti.

   Da ultimo, la “nuova” governance ispirata ad una idea italianizzata di new public management dimostra già i limiti che avevamo in molti denunciato.

  I Consigli di Amministrazione con le presenze dei cosiddetti “esterni” previste dalla legge 240/10 confermano di essere il frutto più di una visione ideologica che di scelte finalizzate a migliorare la gestione degli atenei e di apertura a stakeholders reali. Capita di frequente di assistere ad un assenteismo diffuso della presunta committenza esterna a conferma che l’apertura al territorio non passa dalla presenza di una azienda o da un rappresentante dell’ente locale nel CdA.

   A fronte di una situazione così drammatica ci sembra che le molte scelte degli Atenei, tutte ripiegate sulla contingenza di problemi locali, non siano state fino ad oggi adeguate. Sia chiaro sappiamo perfettamente che ci sono responsabilità a monte. Tuttavia se le condizioni salariali e di lavoro del personale dell’università continuano a peggiorare è un problema per il funzionamento degli Atenei, per il sistema universitario nel suo complesso e di conseguenza anche per i Rettori.

   Abbiamo letto le proposte del Ministro che ci sembrano, nei fatti, drammaticamente in continuità con una impostazione ideologica già fallita in particolare sul versante della premialità senza risorse, feticcio dietro al quale si nasconde lo smantellamento di parte del sistema universitario. Nessun impegno chiaro sul superamento dell’assurdo ingranaggio dei punti organico e della loro attribuzione penalizzante prima di tutto per il personale che paga magari una cattiva gestione di cui non è responsabile oppure, più semplicemente, la collocazione geografica degli atenei.

   Il bene delle istituzioni che rappresentate passa per la rivendicazione di migliori strumenti di gestione del personale, trattamenti economici e giuridici adeguati, non solo in risorse e interventi emergenziali ad hoc. E’ necessario un investimento su chi lavora nelle università per evitare la dispersione di professionalità e motivazione. Come rappresentanti dei lavoratori lo affermiamo da anni, è la premessa ad ogni nostra azione, ma riteniamo che serva una presa di posizione ferma e delle richieste convinte da parte delle Istituzioni, e cioè da Voi che le rappresentate, nei confronti della politica che governa poco e male nei nostri settori.

   Siamo certi che nessuno di Voi intende essere spettatore passivo del declino del sistema o cannibale di risorse drenate dal vicino in una condizione drammatica per tutti ma piuttosto parte di una battaglia per il suo rilancio e per una idea di Università all’altezza delle sfide difficile che il paese deve affrontare.

   Questo è quello che auspichiamo. Su questi obiettivi nei prossimi mesi intendiamo lanciare una grande campagna di mobilitazione.

   Saremo in campo con tutti coloro che hanno a cuore l’università con tutti quelli che avranno la convinzione e la forza di condividere le battaglie necessarie a invertire una tendenza drammatica.

Il Segretario Generale FLC CGIL
Domenico Pantaleo 
 Il Segretario Generale CISL Università
Antonio Marsilia
 Il Segretario Generale UIL RUA
Alberto Civica

 

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