venerdì 19 Aprile 2024

Piano Nazionale Anticorruzione – Le novità

CIVITTra gli ultimi interventi normativi della precedente legislatura, la L. 190/2012 ha introdotto nuove disposizioni per la prevenzione e la repressione del fenomeno della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione che suggeriscono alcune riflessioni. In premessa va detto che la legge deriva da una imposizione comunitaria, e che a valle di analisi incrociate sulle nazioni aderenti, in base ad alcuni parametri l’Italia è risultata avere uno dei tassi di corruzione più alti.

Inoltre la legge, che disciplina la complessa interazione di tutti gli attori coinvolti nello studio del fenomeno, non si premura di individuare una definizione generale della corruzione, che la circolare n. 1 del 25 gennaio 2013 della Funzione Pubblica precisa essere stata “data per presupposta”.

In estrema sintesi, l’architettura della norma prevede la cooperazione a livello nazionale di tre soggetti: il Comitato interministeriale, istituito con DPCM 16 gennaio 2013, l’Autorità nazionale anticorruzione (CIVIT) e il Dipartimento della funzione pubblica; all’interno delle amministrazioni agiscono l’organo di indirizzo politico di ente e il Responsabile della prevenzione alla corruzione.

Ciò che si rileva immediatamente è la complessità del percorso per il contrasto e la prevenzione del fenomeno della corruzione.

Il primo degli attori è il neo-costituito Comitato interministeriale, al quale è demandato il compito di elaborare le linee politiche di indirizzo; sulla base di queste, il Dipartimento della Funzione Pubblica elabora il Piano Nazionale anticorruzione (PNA), che viene sottoposto alla CIVIT per l’approvazione.

Il PNA costituirà lo strumento di indirizzo politico-gestionale negli enti, nei quali sarà compito del “Responsabile della prevenzione alla corruzione” (anche questo di nuova istituzione), proporre annualmente il piano triennale di ente, che verrà approvato dall’organo politico dell’amministrazione centrale.

Pur condividendo l’obiettivo del legislatore (quante volte si è chiesto a gran voce una politica seria di contrasto al fenomeno della corruzione!), ci si domanda tuttavia se questo sistema possa essere effettivamente efficace; inoltre ancora una volta vengono istituite nuove figure e organi, che ovviamente si tradurranno in nuovi costi da sostenere – in questi tempi di spending review – quali il Comitato interministeriale, il nuovo Presidente della CIVIT e i Responsabili di ente.

A livello di singole amministrazioni, è da sottolineare il ruolo del Responsabile della prevenzione della corruzione, coperto da un ruolo dirigenziale. A tale figura è attribuito un sistema di responsabilità oggettiva, che prevede pesanti sanzioni (revoca dell’incarico, effetti sulla retribuzione di risultato, responsabilità disciplinare oltre che danno erariale) ove si configurino ipotesi di accertamento della corruzione nella stessa amministrazione. E’ costui l’ultimo responsabile, ovviamente oltre chi ha commesso il fatto, per la mancata attuazione di tutto quanto è stato meditato, approfondito e disposto a livello nazionale.

Il Responsabile della prevenzione, tuttavia, è fatto salvo dalle sanzioni ove dimostri di aver posto in essere tutte le azioni preventive opportune; ciò potrebbe limitare l’operatività delle norma, ove la sua azione si traducesse semplicemente nell’adozione di atti burocratici, della cui efficacia concreta è legittimo dubitare.

Senza alimentare il fronte dei legittimi interrogativi a monte (era necessario costituire nuovi controllori con nuovi costi? articolare un sistema così complesso per analizzare le cause della corruzione, dei settori particolarmente esposti e delle strategie di prevenzione? Non sarebbe stato meglio, sotto il profilo dell’efficacia, provare ad attuare gli strumenti operativi già esistenti, magari dando a questi nuova linfa anche come risorse umane? e infine, chi controllerà i controllori?), ci sono alcune novità.

L’11 settembre 2013 la CIVIT, con propria delibera n. 72, “pur richiedendo, in una logica di gradualità, ulteriori integrazioni e specificazioni in fase di aggiornamento nel 2014” (…..!!!!!) ha approvato il piano nazionale anticorruzione (PNA) predisposto dalla Funzione Pubblica, e trasmesso per la definitiva approvazione al Ministero per la P.A..

In esso vengono inserite alcune novità, tra cui la tutela del “whistebowler” (“informatore”), di interesse per le OO.SS ed i CUG, nonché nuovi contenuti relativamente al Codice di Comportamento.

L’art. 1, comma 51, della legge ha modificato il d.lgs. n. 165 del 2001, introducendo un nuovo articolo, l’art. 54 bis, rubricato “Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti”. Nasce la figura del c.d. “whistleblower”, ovvero il pubblico dipendente che denuncia all’autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, oppure riferisce al proprio superiore gerarchico, condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro. Anche qui non si fa altro che introdurre una misura di tutela già in uso presso altri ordinamenti, finalizzata a consentire l’emersione di fattispecie di illecito.

Il whistleblower , dice la legge, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro, per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia.

Nell’ambito del procedimento disciplinare, l’identità del segnalante non può essere rivelata senza il suo consenso – sempre che la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione. Ma qualora la contestazione di illecito si basi, in tutto o in parte, sulla segnalazione del whistleblower, la sua identità può essere rivelata, seppursolo nel caso in cui la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato.

A seguito di ciò, il dipendente che ritiene di aver subito una discriminazione per aver effettuato una segnalazione di illecito:

– può dare notizia dell’avvenuta discriminazione all’organizzazione sindacale alla quale aderisce o ad una delle organizzazioni sindacali rappresentative nel comparto presenti nell’amministrazione. L’organizzazione sindacale deve riferire della situazione di discriminazione all’Ispettorato della funzione pubblica se la segnalazione non è stata effettuata dal Responsabile della prevenzione;

– può dare notizia dell’avvenuta discriminazione al Comitato Unico di Garanzia (C.U.G.); il presidente del C.U.G. deve riferire della situazione di discriminazione all’Ispettorato della funzione pubblica nel caso in cui la segnalazione non sia stata effettuata dal responsabile della prevenzione.

Inoltre, le amministrazioni devono adottare le dovute integrazioni al Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, con l’indicazione dei meccanismi di denuncia delle violazioni del codice di comportamento nonché l’indicazione dell’ufficio competente a emanare pareri sulla applicazione del codice stesso, adeguandoli in particolare a quanto previsto in merito alle segnalazioni di situazioni di illecito da parte dei dipendenti.

N.B.: I “collaboratori” dell’amministrazione tenuti a rispettare il codice di comportamento sono intesi “a qualsiasi titolo: quindi non solo i dirigenti ed i dipendenti, ma anche il personale non di ruolo (cococo e tempi determinati) è chiamato a rispettare il codice di comportamento, di cui deve essere messo a conoscenza e deve dichiarare di conoscere all’atto della sottoscrizione del contratto.

Il codice deve quindi includere la regolazione dei casi di conflitto di interesse per l’ambito delle funzioni ed attività amministrative; va da sé che nel caso in cui un ente non abbia ancora adottato il proprio codice (che ahimè necessita quindi da subito di una revisione) bisogna prevedere una integrazione al testo.

Di norma il codice di comportamento viene predisposto dai CUG: ai nostri rappresentanti nei CUG va quindi l’invito a tener conto delle innovazioni oggetto di questa nota.

UIL RUA – La segreteria Nazionale

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