giovedì 18 Aprile 2024

La UIL sul tema delle “criticità” nelle politiche europee e nazionali di ricerca ed innovazione

Nell’ambito della consultazione promossa dalla Commissione Europea sul Libro Verde per Ricerca ed Innovazione (Europa 2020), riportiamo l’intervento di Iperide Ippoliti trasmesso a tutti i rappresentanti dell’Osservatorio Regioni – Confindustria – CGIL – CISL – UIL.

Gli indirizzi di “Europa 2020” ed, al loro interno, di “Unione dell’Innovazione” esprimono con grande chiarezza la volontà di imprimere una decisa svolta nelle politiche UE. Obiettivo: conferire agli interventi nel campo della Ricerca e Sviluppo (che, lo ricordo, occupano una percentuale molto sensibile del bilancio comunitario) quella efficacia resa oggi ancor più ineludibile dalle conseguenze crisi finanziaria che sta accentuando i ritardi di competitività e di produttività del nostro continente rispetto alle aree economicamente più dinamiche del globo.

Il “Libro Verde”, prima ancora di fornire un orientamento molto utile alla importante consultazione pubblica in atto attraverso i 27 quesiti proposti, non certo a caso riafferma e riassume, con sinteticità incisiva, le “criticità” su cui tutti gli “attori” dei sistemi di R&S dovrebbero riflettere. A cominciare da quelli che operano in contesti, come il nostro,  in cui anni ed anni di dibattiti e di misure normative di ogni tipo hanno contribuito a disperdere in mille rivoli le già scarse risorse pubbliche, dunque ad alimentare depressione ed inefficacia degli interventi.

Sarebbe, dunque,  irresponsabile lasciar cadere nel vuoto una riflessione di questo tipo.

Noi diciamo che essa deve imperniarsi, proprio in sintonia con l’indirizzo europeo, su una rivisitazione profonda dei sistemi di “governance”, come dicono le istituzioni europee, per rafforzarli ovvero ridefinire le modalità di raccordo tra i livelli di intervento e le responsabilità e peculiarità che dovrebbero competere alle singole articolazioni del sistema.

Sottolineare e riconfermare oggi, come fanno giustamente il Consiglio e la Commissione UE – e come è convinzione espressa nel confronto all’interno del nostro Osservatorio – l’importanza di una strategia di multilivello – europeo, nazionale e regionale – e dunque la strategicità dell’intervento delle Regioni non può significare negare la necessaria distinzione e diversità di compiti e di prerogative che dovrebbero spettare a ciascuno dei livelli.

Nel sostenere anche noi la crescente importanza del livello territoriale, dobbiamo partire, infatti, dalla consapevolezza (propria della stessa UE) che è proprio dalla sovrabbondanza di livelli programmatori e decisionali che deriva, in particolare nel nostro paese, quella vera e propria giungla normativa che anche nel sistema di R & S  alimenta sprechi e clientelismi e costituisce  il principale ostacolo ad una politica di Ricerca ed Innovazione realmente al servizio della società e dello sviluppo.

Attuare questi “raccordi” a livello nazionale è già un grande problema, figuriamoci a livello europeo, dove l’integrazione politica è scarsa e dove i sistemi di controllo attengono troppo spesso al rispetto procedurale che al contenuto progettuale!

A tale proposito se riflettessimo sull’impostazione incisiva di un provvedimento programmatico come il “Recovery Act” degli USA del Presidente Obama possiamo renderci conto con tutta evidenza della differenza che esiste ancora tra la indeterminatezza nelle nostre scelte strategiche e la precisione delle scelte di campo di una nazione, pur federata, come gli USA, dove le “componenti” del sistema, aiutate da un massiccio sostegno pubblico, riescono a ritrovarsi attorno a pochi e precisi obiettivi strategici nei quali ricerca, tecnologia, produzione e servizi sono indissolubilmente intrecciati.

Pur nella specificità dei contesti (e delle potenzialità economiche e tecnologiche) questa impostazione dovrebbe costituire un “modello” per le politiche europee e nazionali, perché è da essa che emana la possibilità concreta di individuare pochi e grandi obiettivi strategici verso cui indirizzare gli sforzi pubblici e privati di innovazione (nel “Recovery Act: veicoli a basso consumo energetico, energie rinnovabili  come eolico e solare, accesso alla banda larga, applicazione all’agricoltura ed alla sanità dei nuovi sistemi di comunicazione, sistemi di prevenzione sanitaria).

Sarebbe dunque auspicabile che dall’Osservatorio, in quanto tale, più che la espressione della ricca articolazione di posizioni regionali (che meglio potrà esprimersi nelle risposte ai quesiti enucleati nella ultima nostra riunione) giunga forte e chiaro, alle nostre istituzioni (anche regionali) in primo luogo  il richiamo a questa volontà ed a questa assunzione di responsabilità per una “governance” forte che permetta l’effettivo  coordinamento.

Ovvero il sostegno:

  • –   a linee di indirizzo europee che vengano effettivamente recepite dai programmi nazionali (mi rafforzo nel convincimento che le 20 e più aree tematiche del PNR, sembra testé varato dal CIPE, vadano rivisitate);
  • –   a scelte strategiche nazionali più raccordate ad opzioni di una nuova e vera politica industriale e dei servizi, suggerita con forza dalla stessa UE;
  • –   ad una responsabilizzazione e ad un protagonismo delle Regioni e delle stesse istituzioni scientifiche, ovvero di quelle realtà istituzionali a più diretto contatto con la società, il tessuto produttivo e la comunità scientifica. Soggetti che, pur nel doveroso rispetto della loro autonomia, facciano proprio l’obiettivo di diventare i “primari bracci operativi delle linee nazionali ed europee”, evitando il più possibile di utilizzare le loro prerogative per sovraccaricare “ad infinitum” la già sovrabbondante produzione legislativa e normativa e ricercando tra loro raccordi virtuosi in grado di diffondere le “migliori pratiche” e di esportarle nei livelli superiori.

Questo “coordinamento a cascata” e multilivello è tanto più doveroso se teniamo conto della natura, per noi tutt’altro che aggiuntiva, delle risorse UE.

Oggi per l’Italia, data l’esiguità dell’impegno nazionale, queste risorse assumono un vero e proprio carattere sostitutivo!

Riflettono oggi le scelte europee, quelle nazionali, quelle delle stesse Regioni, delle nostre istituzioni scientifiche, delle nostre imprese la volontà di concorrere ad un sforzo comune di utilizzo virtuoso e convergente delle risorse pubbliche esistenti per obiettivi realmente condivisi ?

Questo è il vero e grande interrogativo che la nuova strategia UE finalmente pone con coraggio (anche autocritico) a tutti gli operatori, in primis ai governi che “pilotano” nei singoli Stati membri le sorti delle politiche a politica scientifica e tecnologica.

Noi crediamo – in linea con alcuni incisivi richiami giunti recentemente dallo stesso Capo dello Stato – che anche nel nostro campo ad una sfrenata ricerca di protagonismo deve sapersi sostituire  una più umile ed operosa disponibilità a sostenere con interventi concreti e coerenti le grandi scelte strategiche che dovrebbero esserci ai livelli politici superiori (a patto che queste vi siano)!

Il Libro Verde conferma che oggi l’Europa, diversamente dal passato e con la chiarezza possibile per un ambito nel quale, lo ripetiamo, la integrazione politica è tutt’altro che realizzata, non si limita  all’impegno già arduo a superare “strozzature” e “criticità trasversali”, a realizzare un più adeguato coordinamento tra gli strumenti in suo possesso (a cominciare dai fondi FSE e FESR), ad attuare più rigorosi controlli sulla coerenza dei progetti, a rafforzare la cosiddetta “governance”.

L’Europa di “Innovation Union” si dimostra in grado di indicare anche precise opzioni programmatiche e prioritari ambiti di intervento che dovranno guidare nei livelli sottostanti (nazionali e regionali) la concreta allocazione delle risorse comunitarie (e non solo…..): in particolare green economy, sostegno alle PMI, tecnologie abilitanti, trasporti, TIC.

E’ in questo contesto complessivo che come UIL abbiamo condiviso, e condividiamo, la proposta dell’esponente della Regione Puglia, la Dott.ssa Agrimi, volta a considerare l’utilità della “griglia” degli strumenti di autovalutazione di cui all’allegato I della Comunicazione della Commissione UE del 6 ottobre 2010.

Se esaminiamo, ad uno ad uno, i punti di questa “griglia”, non solo riscontriamo il loro legame sostanziale con l’impostazione del paragrafo 3 del Libro Verde, ma avremo piena consapevolezza dei ritardi che caratterizzano purtroppo particolarmente il nostro contesto nazionale di R&S.

Questa operazione se fatta con rigore può costituire lo strumento di riflessione per non ripetere, accentuandoli, gli errori di sempre, in primo  luogo nel livello nazionale.

Infatti:

  • –          è vero che ricerca ed innovazione non sono ancora, per i nostri politici e nella stessa consapevolezza sociale, considerati strumenti essenziali alla competitività, alla nuova occupazione, allo sviluppo sociale e della qualità della vita (in altri termini gli alti livelli politici non appaiono vincolati a nessun disegno strategico e nello stesso tempo non è diffusa a livello sociale una piena consapevolezza del ruolo sociale della scienza e della funzione sociale del ricercatore);
  • –          è vero che le nostre politiche di ricerca ed innovazione non sono ancora pilotate ai massimi livelli politici e basate su una strategia pluriennale (governi e Parlamenti non dibattono a fondo e con impegno queste tematiche, né mettono a disposizione risorse su cui i protagonisti possano contare in una prospettiva di medio – lungo termine);
  • –          è vero che, salvo alcune significative espressioni imprenditoriali e produttive, il nostro sistema non si dimostra ancora, in particolare nel tessuto dei servizi, capace di incorporare una strategia di innovazione integrata, intesa, cioè, come strategia diciamo di “total quality” (ovvero di una ricerca di qualità basata su una tecnologia e su scelte organizzative che investono tutti i momenti del processo produttivo e del servizio);
  • –          è vero che i nostri investimenti pubblici per ricerca ed innovazione non sono ancora  adeguati e prevedibili. Essi non incentivano l’autofinanziamento privato, semmai lo scoraggiano: sia perché il più delle volte lo sostituiscono, sia perché mancano incentivi automatici idonei alle PMI, sia perché la complessità procedurale e burocratica funge in molti casi da barriera insormontabile;
  • –          è vero che la ricerca dell’eccellenza non governa ancora  le nostre politiche di ricerca e formazione, se per eccellenza si intende, valutazione rigorosa nella distribuzione ai vari livelli delle risorse, autonomia organizzativa delle istituzioni scientifiche, comparabilità internazionale del trattamento giuridico ed economico dei nostri ricercatori, appetibilità della carriera del ricercatore;
  • –          è vero che il nostro sistema formativo non garantisce ancora una combinazione appropriata di conoscenze e competenze, in particolare, per l’attività di ricerca e di innovazione che hanno bisogno, soprattutto nei livelli alti della formazione scientifica, di conoscenze e competenze multidisciplinari ed interdisciplinari che solo alcune realtà dell’alta formazione universitaria (v. alcuni Politecnici)  sono in grado di conferire, almeno ai migliori dei nostri laureati;
  • –          è vero che non sono ancora  incoraggiati, sostenuti, incentivati e praticati a sufficienza i rapporti di partnership tra istituzioni scientifiche, di formazione – istruzione ed imprese (la scarsa mobilità dei ricercatori, le diversità di status giuridico ed economico  sono in realtà la prima dimostrazione della assoluta insufficienza delle sinergie programmatiche ed operative in particolare tra le tre reti di ricerca (università, enti pubblici di ricerca ed imprese);
  • –          è vero che il nostro contesto (giuridico, normativo, infrastrutturale ed ambientale, politico-istituzionale) non è ancora favorevole agli investimenti privati in attività di R&S (ma è anche vero che su ciò incidono la scarsezza delle risorse ed il profilo, tecnologicamente ancora scarso del nostro sistema produttivo e dei servizi);
  • –          è vero che gli aiuti pubblici non sono di facile accesso per “tutte” le imprese;
  • –          è vero che il sistema pubblico nelle sue diverse articolazioni e realtà non incoraggia  l’innovazione e non riesce ad essere esso stesso espressione di innovazione (in realtà noi riteniamo che i perduranti ritardi del Mezzogiorno e della Pubblica Amministrazione, nonostante i tanto sbandierati interventi dei governi, restano le vere “palle al piede” della competitività e produttività dell’Italia).

Certo con larghissima approssimazione, abbiamo qui dato la nostra risposta ai 10 indirizzi di autovalutazione proposti dalla UE (individuando così indirettamente, quelli che sono, a nostro avviso, i bisogni di correzione che riguardano la nostra dimensione nazionale, prima ancora di quella europea).

L’auspicio è che quanti preposti, più di noi, a livelli alti di responsabilità politica ed istituzionale sappiano rispondere, seppur più rigorosamente, con altrettanto coraggio di verità: i responsabili politici delle stesse Regioni tra essi.

Dalle  criticità, occorrerebbe passare alla indicazione propositiva delle scelte.

Per quanto riguarda le OO.SS. confederali, alcune di esse – in verità con impegno preponderante delle parti imprenditoriali – sono state chiarite nel documento redatto già a fine 2010 dalle parti sociali nell’ambito del più ampio confronto sui temi della contrattazione e del rilancio della crescita economica e produttiva (documento al quale si rinvia).

Anche questo documento può costituire oggetto di riflessione sia per l’Osservatorio sia per i principali responsabili delle nostre politiche di ricerca.

Esso si confrontava già alcuni mesi or sono, e soprattutto per gli obiettivi meriti del lodevole impegno dell’amica Nicoletta Amodio di Confindustria (che tuttora sta animando ulteriori riunioni del tavolo), con la problematica sollevata dalla impostazione di “Unione dell’Innovazione” e di “Europa 2020”.

Come è facile verificare al suo interno sono indicate alcune delle strade percorribili ad avviso delle parti sociali per correggere, secondo le direttive europee, politiche scientifiche e tecnologiche fin qui rivelatesi inefficaci, in primo luogo perché “troppo autoreferenziali”: forte semplificazione dei meccanismi di valutazione e di finanziamento, certezza delle risorse, utilizzo  del credito di imposta, revisione del sistema di governance, ruolo attivo del public procurement, sviluppo delle ICT (che ora la UE con grande riforma definisce ….TIC!), etc.

Colgo l’occasione offerta da questo confronto per  formulare  alcune considerazioni aggiuntive della UIL su quanto in esso contenuto.

Innanzitutto la necessità di focalizzare, più di quanto sin qui fatto il sostegno che la ricerca e soprattutto le nuove tecnologie possono e dovrebbero dare in alcune aree di intervento ancora molto critiche per il nostro Paese: infrastrutture – logistica – trasporti, risanamento ambientale ed edilizio, nuove risorse energetiche, piattaforme informatiche per turismo-sanità e beni culturali.

Un’attenzione particolare, con misure chiare ed efficaci andrebbe, infine, sempre ad avviso della UIL,  riservata a:

  • –          prerogative primarie delle Regioni nel sostegno dei processi di innovazione delle PMI;
  • –          incentivazione, in particolare sul territorio ed anche nella dimensione interregionale, delle sinergie pubblico – private (università, enti di ricerca, imprese);
  • –          sostegno alla mobilità del personale ricercatore e valutazione rigorosa delle ricadute occupazionali dei programmi;
  • –          individuazione dei campi prioritari di intervento della “commessa pubblica” di ricerca.

                                                             Iperide Ippoliti

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